Un modernismo individuale asservito all’uomo
Immagine copertina: Alvar Aalto 1898-1976 photo Antti Bengts © Alvar Aalto Foundation
Hugo Alvar Henrik Aalto, celebre come Alvar Aalto, è uno dei maggiori maestri dell’architettura moderna del XX secolo. Nato a Koutarne, un piccolo paese finlandese, nel 1898 dimostra sin da bambino un particolare interesse per la struttura architettonica e una naturale predisposizione al disegno. Un’inclinazione artistica che lo porta a laurearsi con laude al Politecnico di Helsinki, divenendo uno dei protégée di Armas Lindgren. L’inizio degli anni ’20 segna anche l’inizio delle prime esperienze lavorative di Aalto, epoca in cui la Finlandia stava costruendo la sua nuova identità di nazione libera. Jyväskylä, borgo incantato e cittadine d’infanzia di Aalto, è il luogo in cui fonda il suo primo studio. I primi lavori si occupano sia di architettura che design, dimostrando un’iniziale volontà di emulazione dei caratteri dell’Art Nouveau e del classicismo nordico. Nel 1925 sposa una sua ex compagna universitaria, Aino Marsio, anch’essa architetto. Questo sodalizio sentimentale e lavorativo porta a numerosi viaggi in Europa, specialmente in Italia, dove Aalto rimane affascinato dallo stile estetico del mediterraneo, di cui ingloberà alcune tracce all’interno della sua visione urbanistica. Nel corso di tutto il ‘900 la produzione di Aalto è stata riflessione architettonica dell’evoluzione estetica e del gusto di specifiche decadi, evolvendosi in perfetta armonia con lo scorrere degli anni. Alvar Aalto passa così dall’iniziale classicismo al modernismo razionale, riuscendo sempre ad imprimere la sua personale impronta stilistica e senza cadere in un’anacronistica venerazione del passato che, secondo l’architetto, rischiava di far perdere di vista il vero obiettivo finale: la funzionalità della costruzione. Nonostante Aalto avesse anche aderito al Movimento Moderno, benché più giovane di Le Corbusier e Mies Van Der Rohe, non applicò mai fino in fondo le sue rigide istanze, preferendo una approccio più inclusivo, incentrato sul rapporto tra edilizia, uomo e natura. Questo si traduce nella realizzazione di opere assolutamente moderne, ma contraddistinte da quelle dei suoi compagni modernisti per un minor senso di freddezza e una maggiore individualità. I suoi mobili, in cui spicca un morboso utilizzo del legno, divengono simbolo del rifiuto del metallo, freddo e inadatto alla pelle o alle curvature di un corpo vivente. Edifici dalle superfici asimmetriche e le linee ondulate, anche in omaggio al suo nome, “aalto”, che in finlandese vuol dire appunto “onda”, sono una costante della sua produzione. Ne risultano spazi accoglienti, scanditi da un impiego dello strumento luministico sapiente uniti ad una chiara definizione delle forme; l’armonia sia all’interno che all’esterno è così assicurata. Per questa ragione le strutture realizzate dalle mani e dalla mente di Aalto trasudano il Gesamtkunstwerk, il desiderio di raggiungere l’opera d’arte totale, attenta ad ogni sua componente, dai materiali, al decoro fino alla sua praticità. L’oggetto è un prodotto che riserva infinite possibilità creative, sta all’uomo completarlo attraverso le sue personali valenze individuali. Attraverso le parole di Kenneth Frampton “Aalto apparteneva alla generazione esistenzialista di intellettuali nordeuropei secondo i quali, per usare i verbi di Martin Heiddeger, “costruire, essere, abitare e coltivare” erano considerati parte integrante della stessa risposta socio-organica alle condizioni dell’esistenza”.